Quando qualcosa finisce, si fanno dei conti. Si cerca di fare un bilancio finale, di capire cosa si è fatto di buono, cosa si è sbagliato. Cosa resta e cosa va cancellato. Ciò che se ne è andato e ciò che invece deve essere tenuto vicino, costantemente a portata di mente. E questo vale per qualunque cosa.
Quel che resta, infatti, è principalmente una serie di ricordi. Essi, positivi o negativi, possono influire sia nella gestione futura della vita, delle cose, della propria esistenza in generale, ma anche nella percezione che abbiamo dei ricordi legati a ciò che è terminato. I ricordi sono spesso infatti condizionati dallo stato d’animo di chi ricorda, e la stessa situazione può essere analizzata e giudicata in maniera molto differente da persone diverse.
A volte quel che resta sono sensazioni più che parole, sentimenti più che gesti, aspettative non soddisfatte più che gratificazioni, e il risultato è che bisogna sempre ricordare che alla fine di tutto, di qualunque cosa, quel che resta va tenuto stretto, va utilizzato per fare maggior esperienza, per non sbagliare di nuovo dove si è sbagliato, per non farsi trattare di nuovo in maniera inaccettabile, se ciò è avvenuto.
E cosa resta, dunque, alla fine di ogni cosa? Esperienza, memorie, ricordi e sensazioni. A volte, quel che resta è qualcosa di difficile da comprendere. Si apre un cassetto e si vedono degli oggetti, si riproduce un vecchio filmato e si riprovano sensazioni. Lo scorrere del tempo è inesorabile, il flusso della vita è inarrestabile (fino alla morte, ovviamente), tutto cambia, tutto si trasforma.
E apri un cassetto e vedi ciò che, anni prima, vi è stato collocato con sogni, speranze, pensieri e sensazioni positive e che oggi non è altro che la testimonianza di un fallimento. E la tristezza assale, insieme alla consapevolezza che, forse, non sarebbe potuto mai andare diversamente. Perché la vita è la prima cosa che finisce, per cui tutto, in un modo o nell’altro, terminerà. Prima o poi.